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giovedì 28 giugno 2012

IL NEOLIBERISMO - LA GABBIA SOCIALE

DEBITOCRAZIA

La Nuova Dittatura dell'UE il documentario completo

 

Avram Noam Chomsky

  (Filadelfia, 7 dicembre 1928) è un linguista, filosofo e teorico della comunicazione statunitense. Professore emerito di linguistica al Massachusetts Institute of Technology è riconosciuto come il fondatore della grammatica generativo-trasformazionale, spesso indicata come il più rilevante contributo alla linguistica teorica del XX secolo.

NOAM CHOMSKY - BIOGRAFIA 


Noam Chomsky ha elaborato la lista delle 10 strategie della manipolazione attraverso i mass media. 


La critica al neoliberismo di Noam Chomsky

NOAM CHOMSKY - OFFICIAL WEBSITE

 Noam Chomsky

“Crisi globale dell’economia”, è questa una delle espressioni più diffuse che hanno riempito le prime pagine dei giornali e i titoli dei telegiornali negli ultimi due anni. Perché? Che cosa è successo?
Esiste un metodo di analisi che possa mostrare in maniera semplice se non i meccanismi dettagliati di questa crisi, almeno le caratteristiche generali e intrinseche del complesso economico-politico che pare essere franato tutto d’un colpo?
Attraverso lo studio della critica di Noam Chomsky al neoliberismo contemporaneo la risposta più plausibile è che il sistema fosse destinato a tale fine; l’analisi del linguista statunitense, infatti, pare essere uno strumento in grado di darci un criterio per disegnare questo quadro, grazie alla descrizione di un rapporto biunivoco tra politica ed economia.
Il punto di partenza è, dunque, la critica al neoliberismo, concetto guida dell’economia degli ultimi decenni. Ma cosa si intende per neoliberismo?
La definizione teorica di questo termine è: una dottrina economica che sostiene la liberazione dell'economia dallo Stato, la privatizzazione dei servizi pubblici, la liberalizzazione di ogni settore non strategico e la fine di ogni chiusura doganale; in sintesi, la teoria economica del mercato del globale che secondo le analisi degli economisti ha fallito, come spiega in modo esplicito, Duccio Cavalieri, professore ordinario di economia dell’Università di Firenze:
“In breve, la crisi ha evidenziato la mancanza nel sistema capitalistico attuale di validi meccanismi di autoregolazione del mercato. In questo senso, si può certamente parlare di fallimento del neoliberismo..”
Ma questo sistema economico funziona davvero così? Realmente risulta essere svincolato dalle politiche statali e fondato su una vera autoregolazione del mercato?
Da qui prende le mosse lo studio di Chomsky. A suo parere, infatti, il primo passo per comprendere una catena economica è sicuramente la struttura politica in cui essa si muove.
L’autore inizia la sua riflessione dalla fine della II guerra mondiale, vero e proprio nodo storico verso la struttura attuale delle relazioni internazionali.
Egli ci descrive gli anni che in scienza politica sono definiti del bipolarismo, dove gli Stati Uniti si presentavano come leader globali per potenza e ricchezza, con l’auspicio di mantenere tale ruolo ed estendere il loro sistema economico in quella che era chiamata la “Grande Area”, ossia tutta la porzione del globo al di fuori del blocco sovietico. In che modo gli Stati Uniti volessero imporre il proprio dominio, Chomsky lo ricava da un memorandum rimasto a lungo segreto, lo Studio di Pianificazione Politica n° 23, scritto da George Kennan, capo dell’ufficio programmazione del Dipartimento di Stato, nel 1948. La sintesi di esso è che, al fine di mantenere la superiorità conseguita, le strategie avrebbero dovuto privilegiare una politica di potenza, libera da sentimentalismi e ideologie quali ad esempio l’idea che il governo fosse responsabile del benessere di tutta la popolazione, o la difesa dei diritti umani, perché l’unico interesse da difendere era quello statunitense, ossia, come Chomsky stesso sottolinea, le necessità dell’economia americana. Egli ricava, dunque, da queste linee guida, la chiave per interpretare tutte le azioni militari degli USA dopo la II guerra mondiale. Ad ogni zona della “Grande Area”, infatti, era stato affidato un ruolo, e se uno stato all’interno di essa si fosse rifiutato di svolgerlo, l’intervento americano sarebbe stato immediato, come la guerra del Vietnam ben dimostra.
Questo prima parte di analisi suggerisce, pertanto, un primo paletto da porre alla definizione di neoliberismo. Se la scacchiera mondiale è soggetta in questi termini alla politica dello stato leader, infatti, il concetto di libero mercato trova un primo concreto ostacolo.
L’analisi di Chomsky non si ferma qui comunque, ma anzi indica un’altra tappa storica fondamentale per comprendere lo stato attuale delle cose, prettamente legata alla realtà finanziaria. L’anno è il 1971, quando una profonda accelerazione verso il neoliberismo contemporaneo fu causato dalla decisione dell’amministrazione Nixon di smantellare il sistema economico mondiale nato dagli accordi di Bretton Woods (1944), abolendo la convertibilità del dollaro. Vediamo perché:
“Gli accordi di Bretton Woods miravano a controllare il flusso dei capitali. Nel secondo dopoguerra, quando Stati Uniti e Gran Bretagna hanno creato questo sistema, c’era un gran desiderio di democrazia. Il sistema doveva preservare gli ideali sociali democratici, in sostanza lo Stato previdenziale. Per farlo occorreva controllare i movimenti di capitali. Se li si lascia andare liberamente da un paese all’altro, arriva il giorno in cui le istituzioni finanziarie sono in grado di determinare la politica degli Stati. Costituiscono quello che viene chiamato “Parlamento Virtuale”: senza avere un’esistenza reale, sono in grado di incidere sulla politica degli Stati con la minaccia di ritirare i capitali e con altre manipolazioni finanziarie.[...] Così in tutto il mondo, si assiste da allora a un declino del servizio pubblico, alla stagnazione o al calo dei salari, al deterioramento delle condizioni di lavoro, all’aumento delle ore lavorative.”
A seguito di queste affermazioni, la rete politico-economico risultante si profila così: da un lato una politica unilaterale imposta dal leader globale al resto del pianeta, dall’altro la possibilità per i flussi di capitale di muoversi liberamente all’interno di questo spazio. Il disegno non è ancora concluso, ma è importante notare, a questo punto, una considerazione ovvia ma degna di essere esplicata: a chi appartengono questi capitali liberi di muoversi all’interno del sistema? Ovviamente alle grandi multinazionali, in particolare quelle americane.
Ma perché questo libero flusso di capitali, ha causato nel corso degli anni un costante impoverimento della popolazione, una riduzione dei salari e il declino del servizio pubblico?
La spiegazione può essere formulata attraverso tre valutazioni.
Consideriamo, in primo luogo, il libero movimento dei capitali: è questo il fattore principale che negli anni ha determinato la costante contrazione dei salari e il calo del loro potere d’acquisto. Questo perché la possibilità di spostare il denaro senza barriere è divenuta una delle più potenti armi delle imprese da schierare contro le richieste delle associazioni dei lavoratori per un miglioramento delle loro condizioni di retribuzione o di lavoro in generale. La semplice possibilità di poter minacciare di trasferire la produzione a proprio piacimento, o averla spostata in luoghi dove il costo della manodopera era decisamente inferiore, ha progressivamente annichilito le rivendicazioni della classe lavoratrice, posta in una condizione di precarietà sempre crescente.
La seconda domanda da porsi è: da dove arrivano questi enormi capitali che i gruppi di potere, gli investitori, spostano a loro piacimento e senza porsi troppe domande? Chomsky risponde e dimostra che la risposta è “dallo Stato”. Si può definire questo passaggio come cruciale nell’analisi della Sua critica al neoliberismo, perché esso spiega due fatti:
A) il neoliberismo è pura teoria, l’economia reale è profondamente influenzata dagli stati;
B) le industrie delle multinazionali americane hanno sempre sovvenzioni o finanziamenti statali, pertanto mentre i profitti sono privati, i costi e i rischi gravano sulla popolazione.
Per spiegare il primo punto, Chomsky sottolinea come i due principali propugnatori internazionali del neoliberismo, USA e Gran Bretagna, in particolare a partire dagli anni ’80, nelle figure dell’allora presidente Ronald Reagan e del Primo Ministro Margaret Tatcher, abbiano sempre attuato misure protezionistiche di grande portata a difesa dei loro mercati interni. Analizzando il bilancio dell’amministrazione Reagan pubblicato sulla rivista “Foreign Affairs”, l’autore afferma che “egli fu il regista della più grande svolta verso il protezionismo mai verificatasi a partire dagli anni trenta.”
Alla luce di queste considerazioni, e in relazione all’analisi della politica internazionale statunitense fatta in precedenza, possiamo quindi affermare che se si può parlare di neoliberismo, esso va definito unilaterale. L’azione internazionale statunitense apre la strada agli investimenti delle sue grandi aziende, impone le modalità di governo e le politiche necessarie per favorirle e, nello stesso tempo, le mette al riparo dalle possibili conseguenze negative che il sistema da loro imposto potrebbe causare di riflesso.
Oltre ad essere protette dall’esterno, però, le grandi multinazionali sono difese dalla politica anche all’interno dei loro stati. Infatti, le misure protezionistiche garantiscono loro il mercato su cui far rifluire i prodotti (oltre a quello creato all’estero), godono di una legiferazione che gli garantisce, spesso, più diritti di un singolo individuo (per fare un esempio si consideri in Italia la Legge Maroni) e ottengono il denaro da investire da sovvenzioni statali, fatto totalmente contrario alla teoria neoliberista.
In questo senso, quindi, Chomsky afferma che i profitti sono privati ma i costi e rischi sono pubblici, socializzati.
Il risultato di queste analisi evidenzia tre caratteristiche fondamentali:
A) il progressivo impoverimento delle popolazioni degli stati potenti, poiché su di esse gravano i costi militari, i finanziamenti alle multinazionali e il progressivo calo dei salari;
B) lo sfruttamento delle aree più arretrate del pianeta, che fungono da bacino di risorse, umane e materiali, sia per la produzione sia per la creazione di nuovi mercati;
C) l’alleanza “Stato-Capitalismo” come arma di difesa.
Se il quadro era ed è questo, non era forse destino che la crisi mondiale, che oggi ci investe, piombasse sulle nostre teste? Certamente, come afferma Cavalieri, questo “neoliberismo” ha fallito.
Ha forse ragione Noam Chomsky, quando afferma che la comprensione della politica e dell’economia è alla portata di tutti, se si smaschera la retorica che le circonda e si raccontano i fatti per quello che sono?
Autore: Matteo De Laurentis / Fonte: rebelion.org

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